Domenico Fortunato, come scritto nei titoli di coda, dedica il film alla madre non perché Bentornato papà – in anteprima nazionale al Bif&st e in sala dal 7 ottobre – racconti la sua esperienza personale ma perché vuole racchiudere tutte quelle di ragazzi e ragazze che si sono ritrovati, com’è successo allo stesso regista/attore e al suo produttore/autore del soggetto Cesare Fragnelli a dover fare i conti, in tenera età, con la malattia di una persona cara, di un padre o di una madre, visti fino a quel momento come punti di riferimento, sempre presenti, con i quali era giusto anche scontrarsi, per crescere.
Nel film il regista/attore/cosceneggiatore Domenico Fortunato è Franco, un uomo di successo, in attesa di un importante promozione lavorativa che ama molto la sua famiglia e si divide tra Roma e la sua luminosa e accogliente casa in mezzo ai trulli pugliesi, dove con Anna (Donatella Finocchiaro) ha cresciuto Andrea (Riccardo Mandolini) e Alessandra (Giuliana Simeone), ormai studenti universitari, pronti a spiccare il volo verso la loro indipendenza e la vita adulta.
L’improvvisa malattia dell’uomo che si accascia nel giardino di casa, cambia i piani di vita di tutti, spinge i ragazzi a tornare a casa e dona loro il tempo per incontrarsi ancora, per un abbraccio che a volte è mancato anche nel giorno di Natale perché bisognava correre altrove, perché era più importante essere altrove. In quel tempo un po’ sospeso vissuto dalla famiglia, ci sarà lo spazio anche perché tutti, dalla moglie ai figli, all’amato fratello di Franco, Silvano (Giorgio Colangeli) trovino una loro nuova indipendenza, nata dall’amore.
Con l’autore, alla sua seconda regia, dopo una lunga carriera attoriale (Il male oscuro di Mario Monicelli, Dimenticare Palermo di Francesco Rosi, Assassini nei giorni di Festa di Damiano Damiani, 100 metri dal Paradiso di Raffaele Verzillo, Spectre-007 di Sam Mendes e La rivincita di Leo Muscato) abbiamo parlato della sceneggiatura, scritta con Cesare Fragnelli, Francesca Schirru, Lorenzo Righi, Michele Santeramo, dell’inquietudine funzionale sul volto di Mandolini e del lavoro sulla luce e sul calore nei due spazi abitati dai personaggi: la casa e l’ospedale.
giovanna barreca