Quasi arrivati al giro di boa di questa 78esima edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia confessiamo che Ariaferma di Leonardo Di Costanzo con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano e Roberto De Francesco è il lungometraggio più bello, più emotivamente intenso tra i film italiani visionati in tutte le sezioni del festival.
Al centro della narrazione un carcere che viene dismesso e i detenuti che devono essere trasferiti. Dodici inaspettatamente restano in attesa dell’ordine e tale ritardo costringe cinque guardie a restare nella struttura per sorvegliarli, in attesa arrivi il comando. Restano solo loro perché anche la direttrice ha già ricevuto un’altra assegnazione. In pochi giorni questa nuova condizione, uno stato di sospensione, influisce sui comportamenti di tutti i protagonisti e sul fluire del tempo. Viene a mancare totalmente il fuori (vengono negate le visite, vengono negate le attività ricreative per mancanza di personale) e ci si concentra sul dentro con tutte le tensioni, le riflessioni, le vicinanze, i nuovi incontri che si creano in una condizione inaspettata.
Attingendo a piene mani dalla realtà, come gli ha insegnato il lavoro da documentarista, Leonardo Di Costanzo scrive una sceneggiatura che è frutto di tutte le storie ascoltate e di tutti i personaggi incontrati. Nella nostra intervista il regista ci confessa di aver conosciuto quello che poi diventerà nel film il giovane Fantaccini (Pietro Giuliano) in un carcere del nord Italia dove “c’era questo ragazzino con le spalle curve che continuava ad uscire ed entrare dalla prigione perché non aveva nessuno fuori e forse la struttura penitenziaria era l’unico posto dove poteva mangiare; gli agenti gli facevano fare piccoli lavori perché guadagnasse qualche soldo”.
E come sempre nei film di Di Costanzo ci sono personaggi fortemente combattuti e forti contrasti. Per esempio tra il rigore imperturbabile che cerca di assumere in ogni momento – per fedeltà al ruolo – Gargiulo (Toni Servillo) e la pietà che sia la guardia che il detenuto Carmine (Silvio Orlando) provano, tra amore e un forte senso di disprezzo, tra un gesto di amicizia che nasce spontaneo e una freddezza, figlia di un vissuto doloroso e di un ruolo che si vuole continuare a mantenere, da entrambe le parti. Una scrittura attenta ad ogni singola battuta ha regalato questi contrasti verbali che sono ancora più forti grazie alle pause create nei dialoghi da Servillo e Orlando che è come se fossero capaci di cambiare registro in una stessa scena e portare il pubblico a far parte di quella forte tensione. Un lavoroattoriale (la prima volta insieme di Servillo-Orlando) di altissimo valore e sorprendente per il livello di tensione emotiva che sanno mettere in scena.
La fotografia è di Luca Bigazzi e la musica di Pasquale Scialò e Di Costanzo, nella nostra intervista in esclusiva, ci svela come è avvenuto il lavoro sul set e come l’aspetto sonoro fosse importantissimo per unire un aspetto religioso e per offrire un contributo in grado di enfatizzare il sentimento di unione che associa guardie, detenuti e spettatori.
Il film, dopo l’anteprima mondiale veneziana, sarà in sala dal 14 ottobre per Vision Distribution.
giovanna barreca