Cesare Maltoni era un biologo, uno degli scienziati di maggior prestigio del nostro paese, apprezzato in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti. Voleva una sanità per tutti e una scienza al servizio della comunità e, per tutta la vita – spesso osteggiato da politici, accademici e industriali – portò avanti le sue ricerche, mantenendosi sempre indipendente. Pensava che la prevenzione e la salvaguardia ambientale fossero concetti primari, soprattutto nella cura dei tumori. Sapeva che coloro che nel mondo si occupano di salute e di qualità dell’ambiente erano (sono) pochi e lavorò per mettere in comunicazione questi esperti.
Riassumere l’intensa vita di Cesare Maltoni, nato nel 1930, non è semplice, come non è stata una facile sfida riuscire a raccontarla in un documentario.
Michele Mellara e Alessandro Rossi ci sono riusciti, avendo il pregio di rendere il racconto una coinvolgente avventura lunga quarant’anni, della quale lo spettatore vuole conoscere tutte le tappe, seguendo passo passo la narrazione. Una grafica colorata, molto dinamica, non solo è una sorta di sottotraccia del racconto ma ha la capacità di far dialogare perfettamente i diversi materiali di repertorio, recuperati da centinaia di archivi diversi, con le interviste ad amici e colleghi di Maltoni.
Nel documentario Vivere, che rischio (Life is deadly) – disponibile sulla piattaforma I wonderfull – Mellara e Rossi riescono a raccontarne di Maltoni il passato, il presente e, in una certa maniera – anche se lo scienziato è morto nel 2001– il futuro. Le inquadrature aeree e i campi lunghi mostrano i centri d’eccellenza (Hospice Seragnoli a Bentivoglio, Centro prevenzione e l’Istituto Ramazzini) che Maltoni creò e sviluppò, con il suo straordinario gruppo di lavoro che, ancora oggi porta avanti quanto intrapreso, con passione e dedizione. Studi che hanno dato vita a vere e proprie rivoluzioni del nostro quotidiano, aiutando anche l’opinione pubblica a capire come l’industria (in molti settori) si fosse spinta troppo in là e fosse fuori controllo.
Una delle maggiori battaglie di Maltoni, come si precisa nel documentario, riguardò l’amianto che rivestiva (e alcune zone ancora riveste) le abitazioni in tutto il mondo. Le sue ricerche sul benzene, aromatico altamente cancerogeno, portò a una rivoluzione di tanti impianti. L’industria, non pronta, si accanì e denigrò i risultati delle sue ricerche che erano e resteranno sempre indipendenti.
Tornato da Chicago, a metà anni Sessanta, riuscì ad organizzare uno screening di massa sulle donne di Bologna per prevenire il cancro al collo dell’utero. Non si era concepito nulla di simile e questo stabilì un importantissimo spartiacque nella sua carriera di biologo.
Il documentario è strutturato, come precisano i registi: “come un viaggio dell’eroe. Un eroe tragico del nostro tempo, del quale raccontiamo dagli albori, fino alla fine della sua vita con tutti i problemi che ha dovuto affrontare. Il film costruito a onde: Maltoni sale sull’onda, quando la sua scoperta arriva ai risultati sperati; dopo la pubblicazione l’onda viene sempre aggredita e si schianta contro gli scogli di un sistema politico, industriale, sociale spesso ostile e spaventato. Lì arrivano sempre le crisi che sono anche le rinascite di un Maltoni che non si lascia mai sconfiggere”.
La voce di Luigi Dadina è la voce di Cesare Maltoni che si racconta in prima persona.
Il film, dopo aver vinto il premio del pubblico al Biografilm festival nel 2019, Premio Aamod come miglior documentario, premio come miglior doc al Raw science film festival di Los Angeles, è entrato nella lista dei 200 titoli che concorreranno per la cinquina per l’Oscar come Miglior Documentario.
giovanna barreca