Hollywood non sempre esalta il talento degli autori e Florian Henckel Von Donnersmarck, dopo aver vinto l’Oscar per la sua opera prima Le vite degli altri, ha ritrovato la sua straordinaria forza come narratore e regista tornando in Germania per scrivere e girare Opera senza autore che, come ha precisato il produttore: “Non è un film sui vincitori russi, non è un film sui carnefici nazisti ma un film che si chiede di cosa siamo fatto noi tedeschi”.
L’opera, in concorso alla 75esima mostra del cinema di Venezia e in sala dal 4 ottobre per 01 distribution – attraverso il vissuto di Kurt Barnet, giovane pittore tedesco – esplora la Germania della Seconda guerra mondiale dove la ricerca della perfetta razza ariana non ammetteva imperfezioni fisiche o mentali e dove l’arte era, come avverrà anche nel periodo successivo (con i comunisti), un mezzo di propaganda o un mezzo pericoloso da controllare e, nel caso, distruggere.
Emblematica del rapporto dei regimi con l’arte è una delle prime scene del film quando Kurt bambino e la zia visitano la mostra dell’arte “degenerata”.
Kurt vive la sua arte e il suo amore per Elisabeth fino a scegliere per loro un futuro diverso, verso la totale ricerca di se stesso e della sua identità/libertà artistica.
E senza svelare troppo è sorprendente come nei suoi ultimi quadri emerga una coscienza artistica che arriva prima della verità storica, del capire davvero cosa legava la sua famiglia al professor Seeband, medico del Terzo Reich.
La storia è ispirata a eventi reali e la figura di Kurt è vicina a quella del pittore Gerhard Richter.
Nella nostra intervista Von Donnersmarck ci racconta la sua fascinazione per la creatività umana e molto altro, compreso un dolcissimo aneddoto della sua infanzia.
giovanna barreca