Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane
Rebecca, il remake per la tv inglese del film di Alfred Hitchcock sul romanzo immortale di Daphne Du Maurier – PARTE I
(Rubrica a cura di Erminio Fischetti)
02/12/10 – La miniserie inglese del 1997, realizzata dal network inglese ITV (Independent Television) fu trasmessa il 4 gennaio 1997 e riproposta al di la dell’Atlantico il 13 aprile 1997 anche dalla rete americana PBS, che co-produce prodotti con l’Inghilterra. A Montecarlo, nel 1927, una giovane ragazza inglese priva di mezzi lavora come dama di compagnia per una vacua signora americana. Incontra un uomo, Maxim De Winter, vedovo inconsolabile di Rebecca, bellissima donna morta in un incidente in mare, e ricco proprietario inglese della tenuta di Manderlay in Cornovaglia. Al seguito di una rapida frequentazione, il solitario e impenetrabile Max chiede alla giovane di sposarlo. Quando la coppia arriva nella proprietà di lui, la giovane si trova a dover sostenere il confronto con l’impareggiabile prima moglie, da parte di tutti e soprattutto della ambigua signora Danvers, la governante, fedele al ricordo della padrona morta. Ma, ben presto, la dura e amara verità verrà a galla…
La serie tv è suddivisa in due parti della durata di cento minuti ciascuna ed è diretta dal veterano di questo tipo di prodotti Jim O’Brien (particolarmente apprezzato per aver diretto in modo ineccepibile, insieme a Christopher Morahan, la miniserie sulla decadenza dell’Impero Britannico in India, The Jewel in the Crown, una pietra miliare della televisione inglese). Ovviamente, la realizzazione di questa nuova versione del popolarissimo romanzo di Daphne Du Maurier non ha la pretesa di accostarsi all’opera cinematografica del maestro del brivido Alfred Hitchcock, che adattò la complessa trama narrativa nell’omonimo film del 1940. Anzi, O’Brien fa di tutto per allontanarsene cercando di rimanere, invece, fedele il più possibile al testo della scrittrice cresciuta in Cornovaglia. Tale scelta è spiegabile anche a causa della maggiore disponibilità di tempo che il regista ha per sviscerare l’aspetto psicologico della seconda signora De Winter, rispetto al maestro del brivido. Questo consente una lentezza narrativa atta ad analizzare ogni singolo evento descritto nell’intrigante vicenda. Come è tipico nella loro precisione professionale, gli inglesi si servono di una storia per trasportarla da un mezzo di comunicazione ad un altro attingendo al vasto materiale letterario classico di cui dispongono e, anche se all’ennesima versione, riescono ancora ad essere originali. I due protagonisti, Max e la sua giovane seconda sposa, rispettano maggiormente la fisicità descritta nel romanzo, rispetto all’inverosimile prodotto italiano. Infatti la giovane donna è fedele ai canoni di una bellezza vagamente scialba, o comunque discreta, non prorompente. Lui, a differenza che in tutte le altre versioni, non è impersonato da un giovanotto, bensì da un uomo maturo come descritto nel libro. La cosa importante è che l’interpretazione dei due è fedele anche ad un certo comportamento tipico della classe aristocratica dell’epoca (elemento assolutamente irrilevante invece nell’adattamento di Riccardo Milani andato in onda su Raduno qualche tempo fa). Già questi elementi ci portano a comprendere la natura di una rielaborazione visiva molto attenta ai dettagli e soprattutto alla fedeltà storica, cosa assolutamente fondamentale alla riuscita e alla veridicità di una rielaborazione di un periodo storico e, soprattutto, di una scala di comportamenti sociali ancora molto rigidi.