New York. Il bel Dylan (Michiel Huisman), controllore di volo presso l’aeroporto JFK, in seguito a una misteriosa turbolenza, rischia di provocare un incidente fra due aerei. Messo in congedo disciplinare, Dylan vede progressivamente la sua vita scivolare in una routine inesplicabile, costellata di numerosi, piccoli eventi che si ripetono, identici, un giorno dopo l’altro, per culminare quotidianamente alle ore 2:22 alla stazione centrale dei treni.
L’incontro d’amore con la gallerista Sarah (Teresa Palmer), tuttavia, e i collegamenti con l’assassinio di una coppia di fidanzati avvenuta alla Grand Central vent’anni prima, sembrano rivelare strani intrecci del destino che Dylan dovrà dipanare per evitare il ripetersi della tragedia.
2:22 – il destino è già scritto, diretto dall’australiano Paul Currie, ha tutti i connotati della trasposizione, fallimentare, di quello che potrebbe benissimo essere un manga giapponese.
Il protagonista dotato di particolari capacità “recettive”, lo spaesamento del singolo all’interno della tentacolare realtà metropolitana, l’amore come antidoto al nichilismo e alla spersonalizzazione.
Tutti elementi tipici, per chi bazzica almeno un po’ il mondo dell’intrattenimento nipponico, di opere originarie del Sol Levante (molte delle quali, è bene ricordarlo, dotate di una fisionomia autoriale notevole), appaiono qui schiaffati, irrimediabilmente, nel frullatore di un thriller statunitense di bassa caratura e ridotti al livello di minestra riscaldata.
Tra romanticismo d’accatto e suggestioni new age, senza contare svariate sequenze dall’estetica pubblicitaria con gli inevitabili corollari (fotografia laccata, montaggio videoclipparo e colonna sonora ruffiana), questo Destino già scritto aggiunge poco al tema delle ridondanze del fato e si perde in inutili prolissità, finendo ben presto con l’annoiare. Per una serata d’estate senza pretese, tuttavia, potrebbe anche andar bene.
Gianfrancesco Iacono per cinematografo.it