Incontro con Roberto Orazi, regista di “A Mao e a Luva”, storia di un trafficante di libri presentata nella sezione L’Altro cinema | Extra al 5° festival internazionale del film di Roma
(Dalla nostra inviata Giovanna Barreca)
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15/11/10 – Brasile, città di Recife, favela Pina. Un viaggio in un altro continente per incontrare una storia e poi trovarne tante altre e decidere di raccontarne ancora una che diventi la narrazione di una vita e di un’impresa che può cambiare il mondo. Immaginate la forza di un granello di sabbia che s’insinua in una conchiglia. Elemento minuscolo come un libro in una favela brasiliana dove regnano violenza, disperazione, fame. Un ragazzo cresciuto in quella realtà, un giorno viene attratto da un libro – A Mao e a Luva di Machado de Assis – lo sfoglia e trova la sua salvezza. Con gli anni, sottraendo spesso risorse economiche alla sua sussistenza fisica (arrivando spesso a provare fame e sete), continua ad acquistare e a leggere libri (perché, come purtroppo non sa il ministro Bondi, i libri ‘nutrono di cultura’ e ‘danno da mangiare qualcosa di più importante del cibo’). Crea nel nulla del suo tessuto sociale una biblioteca, insegna che la conoscenza cambia la vita e può regalarti la salvezza e la bellezza dell’esistenza vissuta da esseri pensanti. Un premio dal quotidiano “El pais” ricevuto a Rio de Janeiro nel 2008 e la responsabilità del progetto per l’apertura di ben 514 punti di lettura nelle favelas del Paese. Al contempo la scoperta della poesia, della possibilità di esprimere, utilizzando gli strumenti appresi, se stessi e il mondo che ci circonda.
Ricardo Gomes Ferraz, detto Kcal, ha 35 anni, ha 7 tra fratelli e sorelle ed è il protagonista di quest’impresa rivoluzionaria. I suoni e le musiche che lo raccontano sono quelli della sua favelas, della sua terra che con il suo piccolo gesto non sarà più la stessa. Un quadro, almeno all’inizio, raccontato con inquadrature lunghe a campo medio che hanno privilegiato l’aspetto della riflessione e, come ha precisato il regista, “la forza espressiva dell’uomo”. Poi, nella seconda fase del ‘pedinamento del trafficante’ c’è macchina a mano, dinamicità e ricerca dell’imprevedibile. Con Roberto Orazi, già ospite dei nostri microfoni altre volte (2009 H.O.T. Human organ traffic) perché documentarista dal percorso stilistico interessante, abbiamo parlato lungamente del ragazzo incontrato per caso mentre stava seguendo un’altra storia ma che poi si è imposto prepotentemente con la forza dei suoi gesti, del suo agire (da ormai 15 anni) con l’arma sorprendentemente potente della cultura in una realtà di violenza.
Abbiamo parlato di Kcal e del modo scelto per girare il suo percorso dove tanti sono stati i regali che poi la storia stessa ha offerto all’occhio della macchina da presa. Seguite il bimbo alla fine del documentario, il bimbo che non è ancora entrato in quel mondo. Il suo è stato un punto di vista inaspettato, non pensato, non ‘scritto’ ma di inaspettata forza.