Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti di La scompersa di Patò:
Divertirsi con due forze dell’ordine sui-generis impegnate nella risoluzione di un mistero? Giocare con una napoletanità che si scontra con una sicilianità, dove la prima è il nord e l’altra è il sud? Riconoscere in questa vicenda l’ipocrisia dei costumi, i problemi sociali di oggi? Ecco i temi de La scomparsa di Patò, presentato al 5° Festival internazionale del film di Roma nel 2010 e ora finalmente in uscita in sala. Un film “familiare”, girato da Rocco Mortelliti che, in collaborazione con Maurizio Nichetti, adatta per la prima volta per il grande schermo cinematografico il romanzo omonimo di suo suocero Andrea Camilleri. L’opera letteraria puntava maggiormente sull’aspetto del giallo che indagava la scomparsa, dopo la messa in scena de “Il Mortorio” (la Passione di Cristo) dell’integerrimo, morigerato e irreprensibile direttore della sede locale di Vigata della Banca di Trinacria, Antonio Patò (Neri Marcorè). “Murì Patò o s’ammuccciò?” si chiedono i suoi concittadini (le comparse utilizzate sono tutti i 1500 abitanti del paese che con entusiasmo hanno partecipato alle riprese). Ernesto Bellavia (Maurizio Casagrande), pubblica sicurezza di Vigata e il carabiniere Paolo Giummaro (Nino Frassica) prima si scontrano e poi uniscono le forze per far luce sul mistero. Il gioco tra i due è spassoso e se non fossero stati girati praticamente in contemporanea (in posti diversi) si penserebbe a un Mortelliti che gioca con i toni della commedia Benvenuti al Sud perché tutte le ironiche punzecchiature tra i due sono sul tono regionalistico di quella commedia campione d’incassi, che nel frattempo ha avuto il suo seguito con Benvenuti al Nord.
Apprezzabile inoltre il difficile lavoro di sceneggiatura che si è dovuta rapportare con una forma e un linguaggio difficili: nel romanzo epistolare di Camilleri non ci sono le descrizioni dei personaggi e i rapporti tra i due protagonisti sono volti alla rappresentazione di un’Italia dove regna il malcostume. La sceneggiatura invece riesce attraverso poche note a raccontarci i personaggi e unire toni comici, grotteschi, amorosi con un pizzico di suspence. Le parti sono affidate tutte ad attori di teatro che regalano un ritmo godibile al film anche se la regia troppo elementare spesso non convince. Tra tutti i personaggi ricordiamo quello della moglie di Patò, interpreto da Alessandra Mortelliti, attrice figlia del regista: incarna in maniera magistrale una donna che si è creata un suo mondo ricco di ipocrisia e che cerca di salvaguardare solamente le apparenze. I titoli di coda sono accompagnati da una canzone di Mortelliti e di Paola Ghigo, interpretata da Neri Marcorè. Una sua lirica riassume perfettamente tutta la pellicola: “Vestiamo tutti i panni di piccoli e grandi commedianti. Or dunque qui mi perdo, e la domanda mi domando, se l’uomo nasce con la rappresentazione poss’io deturre. Noi tutti nessun escluso. Ma non sempre par essere solo favola che nel nostro esistere son loro il vero motore i veri fermenti. La vita a me donatami, per essere lo specchio di altre vite e di vite ancor da vivere”.
Vai alla SCHEDA FILM