Il ruolo dell’attore, la militanza politica, la rivoluzione, il passo a volte incerto nella Roma della periferia riscoperta a tanti anni di distanza. Nel documentario A pugni chiusi di Pierpaolo De Sanctis, presentato in Italiana.doc al Torino Film Festival tutti questi elementi convivono in un sorta di mappa che porta allo spettatore la presenza, il sentire, la concretezza del pensiero dell’attore Lou Castel.
Nato a Bogotà nel 1943, arrivò in Italia – dopo aver vissuto in diversi paesi europei e americani – negli anni Sessanta per raggiungere la madre; a Roma scoprirà la sua passione per il cinema e alimenterà la sua militanza politica che poi lo costringerà a lasciare l’Italia e trasferirsi in Francia.
Attore per Bellocchio ne I pugni in tasca, Nel nome del padre, Gli occhi, la bocca, per Liliana Cavani in Francesco d’Assisi, per Rainer Werner Fassbinder in Attenzione alla puttana santa, per Wim Wenders in La lettera scarlatta, L’amico americano e ancora per Pietrangeli, Pirri, Ferrara, Chabrol e tanti altri che lo avevano scelto per personaggi di ragazzi/uomini dalle anime spesso in cerca. E Castel rispondeva con un’inquietudine rara che arrivava potente allo spettatore.
Parlando del documentario nato dopo anni di un rapporto fitto, anche a distanza fatto di scambi di mail, telefonate, incontri andati a buon fine e altri meno, Lou Castel ci spiega che sul set con Pierpaolo De Sanctis si è sentito libero nell’azione e questa determinava già un orientamento.
De Sanctis precisa che il darsi con generosità dell’attore ha influenzato la scrittura in una creazione contemporanea, mai sperimentata prima su un set. “Un modo di andare senza essere precostituiti” che ha permesso delle stratificazioni, un rapporto tra presente e passato e l’urgenza del confronto tra corpo e mente.
giovanna barreca