(Dalla nostra inviata Caterina Gangemi)
10/09/10 – Dal Messico all’Egitto, la sezione Orizzonti della 67. Mostra del cinema di Venezia ci porta ancora una volta a contatto con l’attualità, attraverso due pellicole molto diverse tra loro per struttura e linguaggio ma tenute idealmente insieme dalla peculiare osservazione delle realtà dei Paesi dai quali provengono.
Ciò avviene attraverso la finzione, nel caso di Verano De Goliat, diretto dal giovane Nicolas Pereda (classe 1982), drammatico racconto corale che, intrecciando le vicende e le esistenze di diversi personaggi, offre un potente spaccato della società messicana di oggi. Un uomo scompare misteriosamente lasciando la moglie alle prese col dolore e gli interrogativi legati alla sua sparizione. Nel portare avanti la sua ricerca all’interno del villaggio in cui vive, la donna, lungi dal trovare le sue risposte, si imbatte nei problemi, nei peccati e nei sentimenti dei suoi abitanti. Non nuovo alla commistione tra fiction e documentario, Pereda anche in questo caso lavora sulla contaminazione tra i generi, collocando la forma narrativa all’interno di uno stile essenziale e sporco, fatto di camera a mano e tempi dilatati nell’intento di restituire la forza e la fierezza di un popolo, ricercandola nei gesti quotidiani e perfino nei pettegolezzi di provincia. E ci riesce con notevole impatto sullo spettatore.
E, invece, un documentario tout-court quello diretto dagli egiziani Marianne Khoury e Mustapha Hasnaoui, Zelal, con il quale gli autori entrano per la prima volta in assoluto con le loro macchine da presa all’interno di due ospedali psichiatrici de Il Cairo, per rivelare uno dei lati più sconosciuti dell’Egitto: quello dei malati mentali e del trattamento loro riservato. Sono gli stessi degenti a raccontare le loro storie: si va dal ragazzo schizofrenico, alla “matta” più anziana, passando per l’invasato religioso, la ninfomane e altri. Storie di effettivo disagio mentali, dietro le quali spesso si nascondono maltrattamenti in famiglia, ribellione al giogo maschile, frustrazione sessuale, ma anche condizioni di estrema miseria tali da indurre a considerare l’internamento di un parente come una sorta di sollievo. Con queste testimonianze, Zelal mostra non solo l’orrore di un’umanità negata e reclusa in luoghi sporchi e fatiscenti, ma anche una parte della società spesso negata e misconosciuta, quella degli “invisibili”, informando e offrendo gli stimoli per un superamento di certi pregiudizi.