Due belle commedie scaldano il concorso di Venezia 67: il nostro Carlo Mazzacurati con l’ammirevole “La passione” e François Ozon con lo scoppiettante “Potiche”
(Dal nostro inviato Massimiliano Schiavoni)
05/09/10 – In sala si ride, finalmente, e si ride forte. Si ride e ci si spella le mani a conclusione delle proiezioni, ricordando implicitamente alle paludate giurie dei festival che la commedia è un genere rispettabilissimo, che spesso narra meglio di qualsiasi dramma amarissime verità sulla natura umana, che nei casi migliori ci parla di società e individuo con spietata presa realistica. E che, pensate un po’, può anche commuoverci. Insomma, giurie di tutto il mondo, non tagliate fuori dai vostri palmarès, per partito preso, chi ha uno sguardo altrettanto severo di chi fa dramma, ma compie il peccato mortale di essere severo facendoci ridere. Riconoscete il valore della commedia, una volta per tutte. Forse quest’anno la presenza di Quentin Tarantino come Presidente di Giuria potrà dare una mano in questa direzione. Speriamo.
Con questo non vogliamo dire che chiamiamo a gran voce un Leone d’Oro per Mazzacurati o Ozon, ma vogliamo affermare con profonda convinzione che oggi sono passati in concorso due film ammirevoli, e che, mon Dieu, sono commedie. La passione di Carlo Mazzacurati fa onore al nostro cinema, alla sua tradizione e al contempo alla sua capacità di rinnovarsi nel linguaggio. In primo luogo, emerge una precisione di scrittura di rarissima qualità, in grado di delineare personaggi costantemente sopra le righe, ma quasi mai irritanti. Malgrado il contesto realistico e lo spunto narrativo colto nella carne viva della triste attualità cinematografica italiana, non ci troviamo nella commedia di costume, ma più dalle parti della pura comicità, in cui i personaggi sono incarnazioni di gigantesca stortura umana, alcuni quasi ridotti a figurine da cartone animato. Ma è la costruzione narrativa, il rutilante fuoco di fila di gag verbali e visive che lascia letteralmente a bocca aperta. Il ritmo è “un minuto: una gag”, senza mai pervenire alla totale stilizzazione, bensì mantenendosi in prodigioso equilibrio sul filo della verosimiglianza.
Potiche di François Ozon, dal canto suo, aderisce ancora più convintamente alla stilizzazione comica. Riproponendo un classico della pochade teatrale francese, stavolta Ozon costeggia le esilaranti dissacrazioni pop già messe in immagini smaglianti in Otto donne e un mistero. A conti fatti, l’Ozon comicamente postmoderno ci piace assai più di quello serioso e presuntuoso. Potiche è una girandola di battute fulminanti, tutte giocate sulla dissacrazione di conflitti sociali fine anni ’70, che richiamano da vicino certi eventi di cronaca degli ultimi anni (i sequestri in Francia dei capi del personale fino alla firma di rinnovo del contratto). E, arditezza tutta francese, la dissacrazione colpisce anche il processo d’emancipazione femminile di quell’epoca, che probabilmente, con mossa tutta politicamente strategica, portò davvero in Parlamento qualche ex-signora salottiera priva di qualsiasi consapevolezza sociale o civile. Ma, in Ozon come in Mazzacurati, il senso è secondario al meccanismo comico, che di per sé innerva e giustifica tutto il film. Ed è un vero piacere.