Il paradosso di uno sguardo
07/06/10 – Il conflitto mediorientale, l’ormai decennale lotta tra palestinesi e israeliani per lo stanziamento lungo la Cisgiordania, è uno degli argomenti centrali, anzi l’argomento per eccellenza di tutto il cinema dell’area o limitrofo. Quello che fa di Elia Suleiman uno dei più originali osservatori e cantori della realtà del suo Paese, la Palestina appunto, è la forza e la teoria del suo sguardo: lunare, comicamente atroce, anche in questo suo terzo lungometraggio.
Quattro blocchi, più che episodi, che seguono il percorso da bambino (1948) ad adulto di Elia, della vita privata e politica della sua famiglia, del mondo intorno a lui che cambia, sempre più in guerra e sempre più isolato. Suleiman sceneggia e interpreta, oltre a dirigerla, questa sorta di autobiografia storica che, venata appunto di umorismo lunare, dimostra un modo efficace e creativo di fare cinema politico e d’autore anche in un momento storico in cui pare che questo sia impossibile. Quello che fa Suleiman è qualcosa di avvicinabile a un concetto, vaghissimo e forse stupido, di cinema puro in cui non è il racconto o la tesi, ma la costruzione e la creazioni delle immagini, a diventare sovversiva: in un mondo in cui l’assurdità della guerra, di quella guerra in particolare, può essere raccontato solo con uno stile “assurdo”, il regista diventa mero spettatore (la prima inquadratura è in soggettiva, il regista è la macchina da presa) che attraversa i suoi luoghi a volte irriconoscibili senza parlare, solo spalancando gli occhi. Così il coro si sovrappone all’esercito, una barella si sposta dalla polizia ai medici (il senso di una guerra in una sola inquadratura), le esecuzioni riprese come gag, la modernità s’impossessa impietosa, inquadratura dopo inquadratura, della Palestina, fino a un commosso finale che è un saluto al passato e uno stupito benvenuto al presente.
L’umorismo di Suleiman è paradossale e lancinante (il salto con l’asta oltre il muro israeliano) e la costruzione del film è di grande coerenza nel gestire il rapporto filmico tra parola e silenzio; senza linee narrative o cronologiche esplicite, l’unico collante di Suleiman è stilistico e l’uso teorico che il regista fa di figure come il fuoricampo e il controcampo, il campo lungo e medio, ma anche la reiterazione dei gesti mettono in luce la straordinaria forza visionaria di un autore. Che a metà strada tra l’impassibilità di Keaton e la curiosità fenomenologia di Tati, attraversa il suo film e lo guarda affascinato e straniato: esattamente come lo spettatore in sala.
(EMANUELE RAUCO)
Titolo originale: The Time That Remains
Produzione: Gran Bretagna, Italia, Belgio, Francia 2009
Regia. Elia Suleiman
Cast: Saleh Bakri, Samar Qudha Tanus, Shafika Bajjali, Tarek Qubti
Genere: drammatico
Durata: 105′
Distribuzione: Bim
Data di uscita: venerdì 4 giugno 2010
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