Film socialisme: Uno spettro si aggira…
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
20/05/10 – Uno spettro si aggira a Cannes 63. Non è il comunismo, ma Film socialisme di Jean-Luc Godard, il cineasta più importante della storia del cinema e della teoria cinematografica insieme a Sergej Ejzenstejn. Anzi, visto che il suo film è stato regolarmente proiettato all’interno della sezione Un certain regard, lo spettro è per l’appunto JLG che ha mandato un fax ermetico quanto evocativo per giustificare in extremis la sua mancata partecipazione alla conferenza stampa di presentazione del film: “A seguito di problemi di tipo greco, non posso essere presente a Cannes. Col festival andrò fino alla morte, ma non farò un passo di più”. Per i prossimi studiosi dell’ipertesto cinematografico il caso Film socialisme dovrebbe avere un ruolo non secondario. Oltre all’imperscrutabile comportamento del suo autore (si dice che Godard avrebbe voluto essere inserito nel concorso principale e dunque da qui nascerebbe il suo rifiuto-dispetto dell’ultim’ora), Film socialisme è stato annunciato almeno un mese prima della proiezione cannense con un trailer monstrum: in un minuto e mezzo circa si poteva vedere tutto il film accelerato e concentrato. Un gesto che ribalta completamente la concezione del trailer e il suo status anticipatorio e che si palesa come sberleffo geniale a tutti i discorsi sull’integrità artistica di un’opera e sull’anti-pirateria in genere.
Poi, una volta visto per intero e a velocità normale, ci si rende conto di come Film socialisme, per lunga parte girato a bordo di una nave da crociera, prosegua e perfezioni il discorso sull’immagine e sulla sua bellezza che caratterizza il cinema godardiano a partire dagli anni Ottanta, ma che solo con Èloge de l’amour (2001) ha imboccato decisamente la strada della svolta numerico-digitale. E qui, in Film socialisme, Godard riesce a lavorare su un campo che crediamo sia ancora inesplorato e che di per sé è un ossimoro: la “materialità” dell’immagine digitale. Nel film si alternano meravigliosi e violenti paesaggi (soprattutto le onde del mare-le nouvelle vague, ipnotiche e opache come il caffè nella tazzina in Due o tre cose che so di lei) ripresi con una videocamera ad altissima definizione, ad altre “vedute” spesso in interni girate con il telefonino o con chissà cosa e dunque a bassa definizione: inquadrature sporche, pixelate, quasi indefinibili. Lo stesso discorso avviene per la colonna sonora e in particolare per l’audio in presa diretta di cui Godard accentua la permeabilità; e dunque, se negli esterni il rumore del vento irrompe quasi liberatorio, in continua lotta con la parola recitata, negli interni è il frastuono sordo della musica da discoteca o di un ristorante o delle slot machine (sempre a bordo della nave) che ingloba l’uomo sottoponendolo all’arbitrio della macchina-cine-meccanica. Come al solito poi in Godard la parola è gesto e suono, significante puro o significato doppio, mélange linguistico e decostruzionismo lettrista. Ma, restando al piano verbale, è il gioco tra il francese parlato e il sottotitolo inglese a creare scompiglio, senso e/o dissenso. In Film socialisme non esistono sottotitoli classici, ma ellittici e concettuali: l’inglese che appare nella parte bassa dello schermo riassume e “immobilizza” il francese che viene parlato dai personaggi con scritte quali wariswar, law, freedom, ecc., funzionando da riepilogo concettuale del dialogo, ma anche da sdoppiamento e spostamento di senso.
Su tutto poi, aleggia un altro spettro, percorso in lungo e in largo a bordo della nave: l’Europa stessa e, più precisamente, la civiltà mediterranea. Gli approdi/capitoli del film/nave sono: Napoli, Barcellona, la Grecia, l’Egitto, Odessa e Gaza, tutti raggiungibili dal Mediterraneo e dunque collegati tra loro e messi in relazione da Godard, per virtù politico-sociali: ad esempio la Napoli della Resistenza e la Odessa della rivolta operaia del 1905 (raccontata ne La corazzata Potemkin da Ejzenstejn; Godard ripercorre la celeberrima scalinata e mostra dei frammenti del film del cineasta russo). È l’Europa sconfitta e senza identità di oggi, l’Europa delle macerie e delle guerre, che potrebbe rinascere – e sta qui il socialismo – da quei residui di storia, di “socialità” tra gli uomini: le nos humanités, come vengono definiti questi luoghi in una delle ultime scritte del film. Delle utopie senz’altro e delle sporadiche speranze, schiacciate e rimosse dalla disumanità odierna. E forse allora le vere speranze secondo Godard vanno affidate ad altro: al gesto del filmare la bellezza della natura e del mare, alla bellezza e alla sfrontatezza di una giovane donna, all’innocenza e sapienza di un bambino (con indosso la maglietta rossa CCCP) e al suo tenero “riconoscimento” della madre, cercando con le mani il contatto con lei ad occhi chiusi (la sicurezza del tatto da contrapporre all’abisso del visibile?).