Premio Extra muros a Pravo Ljudski Film Festival di Sarajevo, menzione speciale a DocLisboa, premio come miglior documentario e Vesuvio award al Napoli Film Festival. E ancora finalista ai David di Donatello, menzione Gianni Volpi al Bellaria Film Festival e premio come miglior opera prima al Cinéma du Reel. Questi sono solo alcuni dei tanti premi e riconoscimenti ricevuti da Il segreto del collettivo Cyop&kaf – dopo la prima mondiale del film alla 31esima edizione del Torino Film Festival – prima di poter arrivare finalmente in sala grazie a Lab 80 (Milano, Roma e Perugia dal 19 marzo). Girato nei primi quindici giorni del gennaio 2013 documenta, come dice anche Roberto del collettivo ai nostri microfoni, l’ultimo rito dell’adolescenza dei ragazzi dei Quartieri Spagnoli, prima che i giovani debbano iniziare ad occuparsi delle cose “dei grandi”. Con una macchina che permette allo spettatore di essere accanto ai protagonisti, come uno di loro, attraversiamo tutta Napoli: quella dei quartieri benestanti dove i ragazzi passano tra sguardi più e meno interessati e negozianti più o meno simpatici, a quella più popolare dove si vengono a creare piccole tensioni con altri coetanei intenti alla stessa pratica. A gruppetti trascinano per chilometri gli alberi di Natale lasciati ai bordi delle strade, alcuni con ancora letterine sui rami o sonaglietti. I rami, i tronchi verranno poi tagliati e saranno i protagonisti del loro grande falò per la festa di San’Antonio del 19 marzo (anch’essa festa/rito di passaggio che chiude l’inverno e dà inizio in un certo sento ala primavera di rinascita). Il segreto è il racconto-verità delle dinamiche del gruppo, della relazione con una Napoli che solidarizza con loro e una che li demonizza. C’è l’aspetto ludico dell’ultimo gioco, come un forte e già marcato, in alcuni ragazzi, voglia di dimostrare un’emancipazione e un carattere forte e deciso nel gestire le relazioni. Ed è tale aspetto che cattura lo spettatore: una complessità narrativa, attraverso i molteplici significati di ogni immagine e di ogni parola pronunciata dai ragazzi in momenti drammatici e di tensione, come in quelli che appaiono come piccoli siparietti tragi-comici. Il tutto con una spontaneità disarmante e con una macchina da presa ad altezza di bambino ma soprattutto invisibile, grazie al profondo lavoro svolto dal gruppo di writers tra le strade (nella foto una loro creazione) e attraverso laboratori nelle scuole del quartiere dove anch’essi vivono.
giovanna barreca