Quello di Tala Hadid è uno sguardo su un mondo dalle esistenze solitarie. I tre personaggi principali fuggono da loro stessi e da una terra nella quale si sentono e sono profondamente soli. C’è Judith, una francese che vive isolata in una casa circondata da spighe di grano in maturazione, la piccola Aicha, rimasta orfana e venduta per poche lire a un trafficante che la vuole portare in Europa e Zaccaria, scrittore marocchino-iracheno in cerca del fratello scomparso dopo essersi unito a un gruppo di rivoluzionari ed essere stato tradito. Le loro esistenze si incontrano alla ricerca di una corrispondenza, di un’appartenenza nella quale rifugiarsi e dalla quale poi fuggire nuovamente. Destino di esistenze costrette a cambiare ogni istante direzione. Non a caso la regista, per definire la sua opera prima – presentata nella sezione Cinema d’oggi al Festival Internazionale del Film di Roma -, parla di film e personaggi, metaforicamente simili ad una carta geografica dove tutto cambia sempre.
The Narrow Frame of Midnight coinvolge lo spettatore direttamente anche grazie a una messa in scena diretta che, sfruttando la potenza di immagini esplicite, disegna il quadro di un malessere, di una solitudine e poi di una forza di reazione (soprattutto per la piccola Aicha) che sarà narrata nelle sue pieghe più invisibili. L’istabilità interiore dei personaggi trova un rispecchiamento chiaro nel caos delle città attraversate da Aicha e Zaccaria, nel paesaggio aperto intorno alla casa/voragine nella quale si nasconde Judith, fino alle ultime scene che regalano al film un finale aperto.
Dopo Toronto e Roma, il film verrà presentato al BFI di Londra. Nella nostra intervista la regista ci parla anche del ruolo fondamentale che ha, nel raccontare la nostra contemporaneità, la poesia.
giovanna barreca