Tra tutte le cinematografie dell’Estremo Oriente, probabilmente la sudcoreana è quella che guarda in modo più strutturato al modello hollywoodiano, un esempio che da diversi anni si cerca di seguire soprattutto a livello produttivo, con un’altissima professionalità nei vari reparti e con budget medio-alti. La conseguenza più immediata di questa sorta di “fordismo” del sistema cinematografico è una tendenza alla standardizzazione del prodotto: capita spesso che in un film sud-coreano si apprezzi la fattura complessiva, con la sensazione costante però di un déjà-vu, di un’idea usurata e riciclata. The Terror Live, terza regia per Kim Byung-woo e sua prima produzione mainstream, si muove per l’appunto su questo pericoloso crinale, riuscendo però progressivamente a liberarsi dal modello hollywoodiano grazie alla coerenza e alla radicalità del discorso che porta avanti.
Hollywood, Corea
Vengono in mente almeno due film americani guardando The Terror Live: il primo è Quinto potere di Sidney Lumet, il secondo è Mad City – Assalto alla notizia di Costa-Gavras. In effetti la storia del conduttore televisivo – che, declassato a speaker radiofonico, pensa di rilanciare la sua carriera sfruttando il contatto che riesce ad avere con un pericoloso terrorista – suona immediatamente già vista e sentita e l’impressione viene confermata nei primi minuti del film: il cinismo mediatico, la fascinazione per la morte in diretta, la spettacolarizzazione della violenza sono tutti temi affrontati in lungo e largo sia nei film di Lumet e di Costa-Gavras che in altri grandi titoli del cinema americano (Osterman Weekend di Sam Peckinpah, per esempio). In particolare per The Terror Live sembra fortissimo il legame con Mad City – Assalto alla notizia: in quel film del ’97 John Travolta prendeva in ostaggio una scolaresca in un museo e Dustin Hoffman, cronista relegato a seguire eventi locali, riacquistava notorietà nazionale grazie al fatto di trovarsi in loco. Non solo, anche in The Terror Live – come nella pellicola di Costa-Gavras – si instaura un rapporto privilegiato tra il giornalista e il terrorista, una sorta di condivisione comune rispetto ai torti subiti dalla società. La differenza fondamentale sta nel fatto che nel film di Kim Byung-woo il terrorista è invisibile e comunica via telefono; fa perciò saltare ponti e altri edifici in virtù di una quasi soprannaturale ubiquità. Il suo è un potere fantasmatico e dunque potenzialmente invincibile.
La claustrofobia in diretta
Praticamente tutto ambientato nello studio radiofonico in cui il protagonista si ritrova estemporaneamente a condurre il TG nazionale, The Terror Live è la dimostrazione di come si possa costruire un thriller avvincente senza mai uscire da una stanza. Uno dei punti di forza del film – che lo emenda dai modelli hollywoodiani – è nella capacità di aver saputo aggiornare il discorso sui media: non solo TV che riprendono in diretta le immagini del ponte su cui è esplosa la bomba, ma anche telefonini e smartphone usati per comunicare segretamente con alti papaveri dello Stato, oltre a decine di altri schermi sintonizzati su altri canali. La parcellizzazione mediatica, più che creare confusione, serve ad articolare un discorso composto di mille informazioni provenienti dall’esterno che, come in un imbuto, finiscono per confluire nello studio in cui si trova il protagonista: quella stanza di pochi metri quadrati diventa improvvisamente il centro pulsante di un intero paese.
Attacco al cuore dello Stato
Nei serrati confronti telefonici che hanno il giornalista e il terrorista viene man mano alla luce il motivo per cui quest’ultimo si è reinventato bombarolo: vuole vendicare la morte di alcuni suoi colleghi operai, scomparsi durante il restauro del ponte, e pretende perciò le scuse ufficiali del governo che, fino a quel momento, non si è peritato neppure di risarcire le vittime. Ecco che a questo punto The Terror Live diventa un film in cui si riflette sul rapporto tra il singolo cittadino e le istituzioni e dove i media finiscono per funzionare da cassa di risonanza. Ed è questo che alla fine diventa il vero tema del film: la possibilità di dare voce al singolo e la folle idea che si debba piazzare una bomba da qualche parte per cercare di trovare qualcuno disposto ad ascoltarti. Che un prodotto mainstream come questo – capace di diventare uno dei maggiori incassi del 2013 in Sud Corea – metta al suo centro una critica così radicale – e persino eversiva – nei confronti dello Stato è davvero sorprendente. E v’è da dire che a Hollywood non sono mai arrivati a tanto.
Alessandro Aniballi per Movieplayer.it Leggi