Raccontare in termini cinematografici un movimento artistico e/o letterario non è mai stato facile e, se possibile, ancor più rischiosa appare la sfida di mettere in scena la nascita della Beat Generation, epifania della controcultura americana, dove tutto – dalla morale alla politica, dallo stile al metodo stesso della scrittura – venne messo in discussione e diede il via a decenni fecondi, non solo in campo letterario. Un’operazione difficile e rischiosa non solo per la natura rapsodica, anarchica e amorale di quel movimento, che probabilmente mal si accorda di suo a una trasposizione cinematografica, ma anche perché, oltre a tutti i suoi protagonisti, anche lo spirito della Beat Generation è ormai morto e sepolto e non sembrano esservi in giro dei degni epigoni. L’unico che forse ha raccolto la staffetta di Ginsberg, Kerouac and company sembra essere James Franco, non a caso ottimo protagonista di un ambizioso e mediocre biopic dedicato allo stesso Ginsberg, L’urlo (2010, diretto da Rob Epstein e Jeffrey Friedman) e soprattutto a sua volta regista, interprete e autore di una serie di film liberi e indipendenti come Sal (2011) e As I Lay Dying (2013).
Al di là di tutte le remore, l’esordiente John Krokidas con Giovani ribelli – Kill Your Darlings ha provato a rielaborare questo materiale incandescente, cercando di scovare il momento in cui è scoccata la scintilla artistica di Ginsberg, Kerouac e Burroughs: la frequentazione della Columbia University a metà degli anni Quaranta, quando ancora imperversava la Seconda Guerra Mondiale e quando i tre si conobbero e cominciarono a frequentarsi grazie all’eccentrica figura di Lucien Carr, che pur non avendo mai scritto nessun testo beat è considerato tutt’oggi l’elemento cruciale, colui cioè che pose le premesse per la nascita del movimento (“Lou era il collante“, ebbe a dire in seguito Ginsberg).
Costruito narrativamente intorno a una serie di deviazioni dalla norma e di sfide al vivere comune (la scoperta della droga e quella della sessualità, l’assalto notturno in biblioteca per recuperare i testi ritenuti osceni e dunque vietati alla consultazione), Kill Your Darlings segue il percorso di rivolta esistenziale dei protagonisti fino all’atto di non ritorno: l’omicidio da parte di Lucien Carr ai danni di un suo ossessivo spasimante. Solo da quel momento in poi – e in particolare dagli anni Cinquanta – l’insubordinazione venne canalizzata in forme artistiche e letterarie.
Lo snodo raccontato in Giovani ribelli – Kill Your Darlings è perciò tutt’altro che banale: un simile assunto infatti evita le dinamiche classiche del biopic e, pur scegliendo Ginsberg come protagonista, lavora sul terreno della nascita di un “sentire collettivo”, di un’urgenza condivisa che sul momento dà luogo a fenomeni di sbruffoneria tipicamente adolescenziale e che solo in seconda battuta, giustamente non messo in scena, verrà rielaborato da Ginsberg e dagli altri nel loro tipico ed esasperato autobiografismo.
Ma il tentativo di Krokidas finisce comunque per fallire per colpa di un conformismo stilistico e narrativo che sembra assolutamente inadatto a raccontare un movimento che dell’anticonformismo ha fatto la sua bandiera principale. Non basta giocare sulla trovata di alcuni flashback al rallentatore – attraverso i quali il personaggio di Ginsberg rimembra e cattura alcune parole dette dai suoi amici per trasporle sulla carta scritta – per dare espressività a una messa in scena perlopiù anonima, in cui la fotografia laccata e pigramente realistica di Reed Morano appare forse il difetto peggiore. Sbagliata anche la scelta del protagonista, così come la costruzione del suo carattere: Daniel Radcliffe è un Allen Ginsberg monocorde, timido e rigido, prigioniero di un fastidioso e ripetuto sorrisetto e incapace di autentici gesti estroversi anche quando comincia a prendere corpo la sua liberazione esistenziale; ma, cosa ben più grave, l’autore di L’urlo viene descritto nel film in modo poco attendibile, travisando o tralasciando degli aspetti importanti del suo carattere, dall’omosessualità al comunismo. La prima invece di essere resa come scoperta gioiosa e liberatrice viene messa in scena in modo stranamente mortifero e punitivo, anche per via di un montaggio parallelo con l’omicidio di Lucien Carr; il secondo, e cioè il comunismo – convinzione politica che Ginsberg ereditò dalla madre – viene semplicemente omesso. Aspetti questi che non fanno altro che confermare l’assunto moralista e perbenista di Giovani ribelli in cui probabilmente l’unico a salvarsi è Dane DeHaan (Chronicle) che riesce a dare al personaggio di Lucien Carr una genuina vena di inquietudine e di follia.
Alessandro Aniballi per Movieplayer.it