Shadowhunters – Città di ossa

La saga urban fantasy scritta da Cassandra Clare esordisce su grande schermo per la regia di Harald Zwart e con Lily Collins nei panni della giovane protagonista che scopre di essere una cacciatrice di demoni nella New York contemporanea. Ma l'operazione convince poco: troppi mostri, personaggi un po' monocordi e cattivi poco fascinosi.

Gli orfani di Twilight e di Harry Potter rappresentano un target ovviamente appetibile per l’industria cinematografica ed è a loro che prova a rivolgersi Shadowhunters – Città di ossa, nuovo tentativo di saga fantasy pronta ad alimentare e nutrire le aspettative di un pubblico in cerca di paralleli mondi fantastici, nascosti dietro la banale quotidianità del reale. Epopea composta per ora da cinque volumi, pubblicata a partire dal 2007 e scritta dall’americana Cassandra Clare, Shadowhunters in tal senso rientra perfettamente nel genere young adult ripercorrendo il topos dell’adolescente che, di fronte alla sfida della maturazione esistenziale, viene catapultato in situazioni in cui deve maneggiare in modo responsabile il mistero (se non l’orrore) e la sessualità.

Così, l’adattamento cinematografico del primo volume della Clare ad opera del norvegese Harald Zwart (La pantera rosa 2, The Karate Kid: la leggenda continua) racconta le premesse della vicenda e in particolare la scoperta da parte della giovane Clary (interpretata da Lily Collins) del suo ruolo e del suo destino: essere una cacciatrice di demoni in un mondo in cui questi si celano dietro sembianze umane. Al suo fianco avrà un altro cacciatore di demoni, l’angelico Jace, che l’aiuta a scoprire i suoi poteri, e il suo amico fraterno (e timido spasimante) Simon, per un trittico di protagonisti che ripercorre in modo abbastanza palese le saghe sopracitate, in particolare Twilight, con la donna che si trova ad essere allo stesso tempo al centro della scena e oggetto del desiderio dei due co-protagonisti.
La novità, se vogliamo, di Shadowhunters – Città di ossa rispetto ai suoi predecessori sta nell’ambientazione urbana: è nella metropoli newyorchese che vivono infatti i personaggi ed è lì che si celano sia i demoni che il quartier generale dei cacciatori, una sorta di cattedrale sconsacrata.

Ma il fatto che Città di ossa possa dare il via a una soddisfacente (esteticamente e/ o commercialmente) saga cinematografica è una sfida che appare decisamente in salita, sia per la saturazione del genere fantasy, sia per una serie di difetti che questo primo capitolo mostra in maniera lampante. Manca ad esempio nel film di Zwart una chiara, precisa e autonoma cosmogonia del Male e/o del diverso e della mostruosità: appaiono infatti decisamente troppi i mostri che sfilano sullo schermo, dai lupi mannari ai vampiri alle streghe che si trasformano in demoni, ecc. In più, ad appesantire le dinamiche buoni/cattivi vi sono gli stessi cacciatori di demoni che vivono una dimensione “scissionista” capeggiata dal luciferino Jonathan Rhys-Meyers, i cui oscuri obiettivi sembrano tra l’altro troppo debitori del Dart Fener di Guerre Stellari. I tre protagonisti inoltre, a partire da Lily Collins già distintasi come non brillante interprete della Biancaneve di Tarsem Singh, non sembrano avere il physique du rôle per sostenere il peso, in effetti un po’ monocorde, dei loro personaggi, privi probabilmente delle potenzialità fascinatorie che hanno permesso a Robert Pattinson, Kristen Stewart, Emma Watson e Daniel Radcliffe di diventare delle invidiate star del nuovo millennio.

L’ambientazione newyorchese poi, che poteva essere la carta vincente nelle mani di Zwart, non viene sfruttata a dovere e la sua Grande Mela finisce per essere un’anonima metropoli contemporanea, priva di qualsivoglia caratteristica. Qualcosa si è fatto con lo humour, ma non abbastanza: il tentativo di mettere in scena una sana e smitizzante ironia ebraico-newyorchese, affidandola in particolare al personaggio dello spasimante di Clary, regge fino ad un certo punto perché poi viene risucchiato anche lui dalla eccessiva drammaticità degli eventi. Se si aggiunge infine che, in un cast di non altissima levatura, uno degli attori di maggior pregio, Jared Harris, viene sprecato nel goffo e schizofrenico ruolo del mentore dei cacciatori che passa dalla parte del Male e poi torna al Bene senza addurre precise motivazioni, allora appare evidente come l’epopea battezzata da questo Shadowhunters – Città di ossa abbia di fronte a sé un percorso non facilissimo.
Certo, è pur vero che i capitoli iniziali di una saga spesso sono anche i più rischiosi, vuoi per una inevitabile difficoltà nel dispiegare a dovere in un singolo film il complesso mondo immaginato dal suo creatore, vuoi per la diffidenza del pubblico che deve voler scegliere di affezionarsi a certi personaggi. È anche vero però che il film fa troppo poco per scolpirsi nella memoria e dà piuttosto l’impressione di collocarsi nel contesto di tardo epigono di certi fantasy a basso costo degli anni Ottanta, senza però poter vantare la stessa spontaneità e ingenuità.

Alessandro Aniballi per Movieplayer.it