Venezia: politiche estive

11/09/09 - Si è parlato in questi giorni di una Mostra politicamente impegnata a sinistra, non...

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

le20ombre20rosse20111/09/09 – Si è parlato in questi giorni di una Mostra politicamente impegnata a sinistra, non ricordando probabilmente che un film è politico soprattutto nella sua messa in forma, piuttosto che nella proposta di contenuti, anche condivisibili o interessanti. Inoltre, magari ci si è anche dimenticati che, eventualmente, questi contenuti vanno sorretti da un punto di vista preciso sulle cose e da una sicurezza del racconto, altrimenti tanto vale parlar d`altro. Tutto ciò lo si dice in particolare per alcuni film italiani che si sono visti qui: “Le ombre rosse” di Citto Maselli e “Il grande sogno” di Michele Placido. Raccontando con ingenuità  l`impegno di un intellettuale e il rapporto che questi instaura con il mondo dei centri sociali, Maselli non riesce a essere credibile in nessuna delle due sponde: l`intellettuale agisce e si comporta come se questa figura fosse ancora ascoltata nella società  odierna (come se si trattasse di un Pasolini o di uno Sciascia), mentre il centro sociale è un luogo completamente inverosimile dall`improbabile nome “Cambiare il mondo”. Imperdonabili sono poi una regia piatta e scialba, dei personaggi completamente privi di spessore e una recitazione indisponente (persino Herlitzka recita male). In più il soggetto del film si regge su di una questione puramente oziosa, se non fastidiosa: la proposta di trasformare i centri sociali in centri per la cultura (e dunque di istituzionalizzarli, privandoli della loro spinta spontaneistica) si ispira a un`idea vecchia più di quarant`anni fa di Andrè Malraux, tra l`altro acerrimo nemico del `68. Dunque Maselli ha fatto il suo film a uso e consumo di quella sinistra paludata, reazionaria e anti-sessantottina che evidentemente resiste ed esiste ancora da qualche parte.

Va così a finire che un film sul `68 lo fa Michele Placido che all`epoca era un poliziotto. Ma proprio per questo la cosa poteva risultare interessante, perchè sembrava di potervi leggere la possibilità  di una prospettiva inedita sul tema. Invece Placido sceglie di non scegliere: trascura i suoi protagonisti con delle eclissi (tanto che Scamarcio prima fa l`infiltrato e poi indossa la divisa e fa le cariche ai manifestanti, con scarso spirito strategico, visto che viene subito riconosciuto), mette alla rinfusa elementi di storia di quei mesi, fa nascere le proteste da episodi risibili e così decide di fare anche per le prime avvisaglie di lotta armata (saltando a piè pari il terrorismo nero). Insomma, ci sono tratti da cinema didattico fatto male, che è stato incollato al solito triangolo amoroso e questi, a sua volta, viene declinato con una grossolaneria esagerata (si veda quanto è sbiadito il personaggio di Argentero). Per non parlare di alcune gigantesche incongruenze in fase di sceneggiatura: il personaggio del padre di Jasmine Trinca è moribondo per più di cinquanta minuti di film e a piè sospinto tutti quanti devono accorrere al suo capezzale, con la conseguenza che questo tracciato narrativo acquisisce troppo peso, togliendo spazio al tronco principale della pellicola.

Ma di politica, se non di socialismo, si è parlato anche a proposito di due film americani: “Capitalism: A Love Story” di Michael Moore e “South of the Border” di Oliver Stone. Già  la scelta di includere il film di Moore nel Concorso Internazionale ci era parsa abbastanza regressiva, in netto ritardo rispetto a Cannes che lo premiò nel lontano 2004 e che però lo scorso anno ha selezionato un film coraggioso e problematicamente documentaristico come “24 City” di Jia Zhang Ke. Ci sembrava regressiva perchè Moore incarna più un mondo televisivo (simile per molti versi al nostro Striscia la notizia) che un retroterra di ricerca documentaria. E “Capitalism” lo dimostra in maniera evidente, collezionando al solito patetismi, semplificazioni, irruzioni, sberleffi e quant`altro. Tra l`altro, forse per via dell`astrazione del tema scelto, Moore si perde in mille piccoli episodi a sè stanti con il risultato che questo suo ultimo film ci pare troppo disorganico. Diverso per fortuna è il discorso da fare per il documentario di Oliver Stone (Fuori Concorso) che, con l`arrivo a sorpresa di Chavez, ha permesso tra l`altro alla Mostra di avere un surplus di visibilità . “South of the Border” assolve pienamente al compito: mostrare la nuova aria che si respira in Sud America dove, grazie ai diversi governi di sinistra insediatisi al potere, ci si sta finalmente affrancando dal controllo degli USA. Stone realizza un lavoro equilibrato, senza grosse pretese, ma chiaro e onesto, preferibile di gran lunga agli altri film ambiziosamente “impegnati” visti in questi giorni.