Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:
La sfida che si è imposto Carlo Hintermann con la regia di The Dark Side of the Sun, presentato in concorso tra i documentari di Extra, è davvero notevole, capace di far tremare le vene e i polsi a molti filmmaker: riprendere la realtà di un gruppo di persone affette da una malattia rara e gravissima, senza cedere al patetico e al lacrimevole. Che la sfida sia riuscita è già un ottimo punto a favore per Hintermann, co-fondatore della casa di produzione Citrullo International, anche se – va detto – in questo suo lavoro emergono anche alcuni limiti. The Dark Side of the Sun mostra come la Xeroderma Pigmentosum, malattia che consiste in una deficienza delle cellule umane, incapaci di riparare i danni provocati dall’esposizione ai raggi ultra-violetti, possa modificare completamente la vita di un essere umano, costringendolo a evitare in primis la luce solare. Il film di Hintermann racconta nel particolare l’iniziativa dei genitori di una malata di XP, che hanno fondato Camp Sundown, una sorta di campo estivo aperto a tutti i bambini e giovani adulti che hanno contratto la stessa malattia di loro figlia.
Hintermann dimostra di avere il tatto necessario nell’avvicinare i protagonisti della sua storia, facendoli parlare della loro condizione senza permettere che vi sia mancanza di rispetto e/o eccessiva e morbosa curiosità. Imparata la lezione del grande cinema del reale, quella della giusta distanza dall’oggetto dello sguardo, Hintermann lascia emergere le storie dei singoli protagonisti riuscendo nello stesso tempo a commuovere. Inoltre The Dark Side of the Sun è intessuto anche di diversi momenti di animazione, nel corso dei quali si assiste a una sorta di esplicitazione delle paure inconsce dei malati: la paura del buio/morte si trasforma in paura della luce/vita per una contraddizione ontologica che fa vacillare la costruzione simbolica della nostra cultura. Questi momenti di animazione, però, sono forse eccessivamente lunghi e a tratti anche poco significativi (come, ad esempio, tutta la vicenda dei tassi), finendo per perdere forse il punto del discorso – o almeno spostandolo – rispetto agli episodi “reali” e dunque non “scritti”. Preoccupa anzi che persino nel cinema documentario stia facendo prepontemente il suo ingresso l’animazione, come capita sempre più di frequente negli ultimi tempi (qui a Roma, ad esempio, in 148 Stefano – Mostri dell’inerzia). Del resto, in un’epoca in cui il cinema ha sempre più raramente come suo referente il reale, anche il genere documentario sembra purtroppo costretto a rimodulare il suo linguaggio. Ma, al di là dell’animazione, resta il punto che The Dark Side of the Sun vive comunque di una contraddizione irrisolvibile: l’essere per l’appunto l’opera di un singolo regista dallo sguardo fermo ed etico e la necessità vitale per i protagonisti della vicenda di potersi rivedere e riconoscere sullo schermo. The Dark Side of the Sun adempie sì al suo lavoro documentaristico, ma è anche un film fatto ad uso e consumo della comunità che vi è ritratta, limitato in una dimensione da home movie.